Patologie della colonna vertebrale

Patologie della colonna vertebrale

Patologie del rachide

Definizione

La colonna vertebrale può essere interessata da varie forme di neoplasie.  Il segmento dorsale è il più frequentemente coinvolto da tumori, sebbene forme neoplastiche possano insorgere in qualunque parte del rachide ed hanno un picco di incidenza fra i 55 e i 60 anni.

Nella maggior parte dei casi i tumori vertebro-midollari sono forme secondarie, ovvero metastasi che originano da tumori primitivi localizzati in altri organi; più spesso arrivano da polmone, mammella, rene, prostata, tiroide e colon.

Meno frequenti sono i tumori primitivi della colonna vertebrale; questi sono più frequentemente benigni  e che possono essere suddivisi in base alla loro origine da specifiche strutture del rachide in:

* Tumori extra-durali: si sviluppano a partire da strutture che si trovano al di fuori della dura madre che ricopre il midollo spinale. Tra questi troviamo osteoma, osteosarcoma, condroma, condrosarcoma, sarcoma di Ewing, mieloma, plasmocitoma, emangioma, emangiopericitoma, lipoma, fibroma, fibrosarcoma, cordoma, cisti aneurismatica dell’osso, granuloma eosinofilo.

* Tumori intradurali: originano da strutture poste all’interno della dura madre e possono essere a loro volta distinti il forme extramidollari (ad esempio meningiomi e neurinomi) e forme intramidollari (come astrocitomi, ependimomi ed emangioblastomi).

I sintomi sono generalmente legati alla localizzazione della malattia e al tasso di crescita.

Spesso i pazienti permangono asintomatici per lungo tempo e vengono diagnosticati a seguito di esami eseguiti per altri motivi (ad esempio in seguito a traumi o in corso di follow-up in pazienti oncologici).

Nelle forme sintomatiche la clinica può essere molto varia, andando dalla semplice rachialgia, a forme di dolore di tipo radicolare, alla comparsa anche in tempi brevi di paraplegia o tetraplegia (spesso a seguito della frattura delle vertebre interessate dalla malattia e la conseguente compressione del midollo spinale da parte di frammenti ossei).

Il gold standard per la diagnosi è la RM con mezzo di contrasto che permette di caratterizzare in modo ottimale la lesione e valutare il grado di compromissione del midollo vertebrale e delle radici spinali.

Lo studio TC può essere altrettanto utile, in particolare nelle forme con coinvolgimento osseo per valutare il grado di compromissione dell’integrità della vertebra.

Va comunque sottolineato come la diagnosi definitiva sia ottenibile unicamente tramite esame istologico eseguito su campione prelevato tramite biopsia o a seguito di exeresi chirurgica della lesione.

Tumori intradurali

Il trattamento di scelta di queste forme tumorali è l’exeresi chirurgica, volta a ottenere la resezione totale della massa senza compromettere le funzioni neurologiche avvalendosi dell’aiuto di monitoraggi neurofisiologici intraoperatori.

Va comunque sottolineato come la maggior parte dei problemi neurologici che si sviluppano a seguito di intervento chirurgico siano temporanei e migliorino con il tempo e con un’adeguata riabilitazione fisioterapica.

Per le forme che risultino più aggressive dal punto di vista anatomopatologico o che non siano state rimosse completamente può essere preso in considerazione un trattamento radioterapico postoperatorio.

 

Tumori extradurali

Per le forme secondarie l’obiettivo principale del trattamento consiste nel ridurre il dolore causato dal tumore, eliminando eventuali compressioni del midollo e delle radici spinali e garantendo la stabilità meccanica della colonna vertebrale.

Nei casi senza compressione del midollo spinale e instabilità vertebrale, la radioterapia è generalmente il trattamento di scelta per ridurre il dolore.

Il trattamento chirurgico deve essere invece considerato nei pazienti che abbiamo sintomi da compressione midollare o instabilità meccanica del rachide: questo consiste nella rimozione della porzione della vertebra coinvolta dal tumore così da ottenere la decompressione del canale vertebrale e al posizionato di mezzi di sintesi per garantire la stabilità del segmento vertebrale coinvolto.

I tumori benigni della colonna vertebrale, invece, possono essere completamente rimossi chirurgicamente, ottenendo la guarigione del paziente; anche in questi casi potrebbe essere necessario l’impianto di mezzi di sintesi per mantenere la stabilità del rachide.

Patologia degenerativa della colonna vertebrale

Stenosi del canale vertebrale

Definizione

La stenosi del canale vertebrale consiste nel restringimento di una o più porzioni del canale vertebrale e alla conseguente compressione del midollo spinale o delle radici dei nervi spinali che emergono in corrispondenza dei forami vertebrali.

Possiamo distinguere tra due diverse forme:

– Congenite

– Acquisite o secondarie

Mentre le forme congenite sono molto rare e insorgono già in giovane età, la stenosi vertebrale acquisita compare più frequentemente dopo i 50 anni e colpisce prevalentemente il sesso maschile.

La causa principale delle stenosi vertebrali acquisite è  riconducibile all’osteoartrosi che, logorando la cartilagine articolare, produce una serie di modificazioni della componente ossea delle vertebre: questo comporta un aumento delle dimensioni delle vertebre che assumono una forma irregolare, andando a restringere il canale spinale.

Altre patologie che possono  comportare una stenosi del canale vertebrale sono l’ipertrofia legamentosa, le fratture vertebrali, infezioni, pregressi interventi chirurgici alla colonna, ma anche malattie tumorali e sistemiche, come il morbo di Paget e la gotta.

I principali fattori di rischio sono l’età avanzata e l’esecuzione di lavori gravosi per la colonna vertebrale.

Il restringimento del canale spinale può comprimere ed irritare le radici nervose e il midollo. La stenosi del canale vertebrale è in genere un processo cronico per cui i sintomi compaiono in maniera graduale e progressiva.

A livello cervicale la sintomatologia è caratterizzata da cervicalgia alla quale si associa  intorpidimento, debolezza, sensazioni di bruciore e di formicolio ad una o entrambe le braccia.

A livello dorsale e lombare, invece, il sintomo principale è la lombalgia, con eventuale irradiazione agli arti inferiori, in maniera simile a quello che avviene a livello cervicale. I sintomi di dolore e senso di peso agli arti inferiori peggiorano durante la deambulazione e migliorano con i riposo.

La RM è il gold standard per valutare il grado di stenosi, la compressione delle strutture nervose e la presenza di eventuali segni di mielopatia ovvero di sofferenza del midollo spinale.

La TC permette una migliore valutazione della componente ossea della colonna vertebrale, dando informazioni utili riguardo la scelta dell’approccio chirurgico.

L’unico trattamento valido e definitivo per la  stenosi del canale vertebrale è la decompressione chirurgica: la rimozione delle lamine vertebrali (o laminectomia) permette di ottenere il ripristino di una ampiezza sufficiente del canale vertebrale tale da risolvere l’effetto compressivo sulle strutture nervose coinvolte.

Nei casi in cui sia presente instabilità meccanica della colonna vertebrale o in presenza di gravi deformità , può essere indicato associare un intervento di artodesi tramite posizionamento di mezzi di sintesi (viti e barre e supporto anteriore).

Ernia del disco

Definizione

L’ernia del disco consiste nel prolasso del nucleo polposo di un disco intervertebrale attraverso una lacerazione dell’anulus fibroso circostante.

È una patologia molto comune che colpisce prevalentemente il sesso maschile, soprattutto nella fascia di età tra i 30 ed i 50 anni di età.

Diversi fattori possono contribuire a facilitare l’insorgenza di ernie discale: sollevare carichi eccessivi o in maniera errata, posture erronee, traumi vertebrali e sovrappeso.

Le ernie del disco sono nella maggior parte dei casi asintomatiche.

Quando sintomatiche, il dolore solitamente insorge improvvisamente e viene alleviato dal riposo a letto.

Ernie del tratto lombare si manifestano tipicamente con lombalgia e irradiazione del dolore ad una gamba, con un territorio di distribuzione dei sintomi specifico in base alla radice compressa dall’ernia.

A livello cervicale invece i sintomi sono caratterizzati da cervicalgia ed irradiazione agli arti superiori. Nei casi di compressione midollare possono essere presenti anche gravi disturbi neurologici di movimento. In entrambi i casi, possono comparire quindi alterazioni della sensibilità tattile termica e dolorifica e deficit di forza.

La RM è considerata la metodica di scelta per confermare la presenza e livello di un’ernia del disco intervertebrale, escludere altre cause di compressione del canale spinale e documentare eventuali segni di mielopatia.

Va comunque sottolineata l’importanza di correlare le alterazioni osservate alla RM con la sintomatologia del paziente, vista l’alta prevalenza nella popolazione generale di ernie discali asintomatiche.

La maggior parte delle ernie del disco si disidrata e si riduce nel corso del tempo (in media 6 settimane), riducendo così la compressione e l’irritazione sulle strutture nervose coinvolte e conseguentemente una riduzione della sintomatologia algica indipendentemente dal trattamento effettuato.

Di conseguenza, nei casi in cui non vi siano deficit neurologici gravi (ade esempio la mielopatia cervicale), il trattamento di prima linea è conservativo, volto a ridurre sforzi fisici eccessivi, perdere peso e, attraverso l’utilizzo di FANS o altri analgesici, alleviare il dolore. Nei casi in cui la sintomatologia non sia adeguatamente controllata è possibile somministrare corticosteroidi.

A risoluzione del quadro acuto, la fisioterapia può aiutare a migliorare la postura e rafforzare i muscoli della schiena.

Il trattamento chirurgico deve essere considerato in presenza di deficit neurologici gravi o progressivi, dolore invalidante non responsivo a trattamento conservativo o sindrome della cauda equina.

L’intervento di scelta è la discectomia microchirurgica, che prevede la rimozione del materiale erniario e la decompressione della radice nervosa coinvolta attraverso l’utilizzo del microscopio intraoperatorio.

Spondilolistesi

Definizione

La spondilolistesi è definita come la traslazione di un corpo vertebrale sull’altro, causando instabilità del segmento (dalla parola greca “olistha ́ nein”, che significa “scivolare”).

Si possono distinguere 6 diverse categorie in base all’eziologia della spondilolistesi:

  • istmica,
  • traumatica,
  • degenerativa,
  • patologica,
  • displastica
  • postchirurgica

il tratto più comunemente colpito è la colonna lombare inferiore (soprattutto su base degenerativa, sebbene sia stata segnalata a livello cervicale e della colonna toracica, in particolare secondaria a trauma. La prevalenza nella popolazione generale varia dal 19,1% al 43,1% con età media compresa tra 71,5 anni e 75,7 anni; inoltre, le donne sembrano essere più colpite rispetto agli uomini (rapporto 6:1).

Si pensa che l’evento iniziale sia da ricondurre alla degenerazione del disco intervertebrale; questo porta nel tempo a microinstabilità e ad un risultante slittamento in avanti (anterolistesi) o all’indietro (retrolistesi) dei segmenti vertebrali interessati. Inoltre, compaiono alterazioni degenerative, come la formazione di osteofiti, l’ipertrofia legamentosa e l’artrosi delle faccette articolari.

In base al grado di scivolamento della vertebra rispetto all’altra, le spondilolistesi vengono classificate in quattro classi di gravità:

  • Grado 1: da 0 a 25%
  • Grado 2: dal 25 al 50% 
  • Grado 3: dal 50 al 75%

Grado 4: oltre il 75%

La causa del dolore nella spondilolistesi è multiforme, andando dalla lombalgia (secondaria a alterazioni degenerative), alla claudicatio neurogena (da stenosi spinale), al dolore radicolare (dovuto alla compressione della radice nervosa nel recesso laterale o nel forame neurale).

La diagnosi è principalmente radiologica: la RM, la quale permette di osservare la compressione delle radici nervose e lo stato delle strutture legamentose, la TC che permette di studiare bene la componente ossea ed una RX della colonna in flesso-estensione per valutare il grado di instabilità.

Il trattamento conservativo è indicato come trattamento di prima linea per i pazienti con spondilolistesi di basso grado senza deficit neurologici.

La gestione conservativa consiste nell’evitare sforzi che vadano a sovraccaricare la colonna vertebrale, l’uso di farmaci antinfiammatori, iniezioni di steroidi epidurali e riabilitazione fisioterapica per rafforzare la muscolatura della schiena.

Il trattamento chirurgico andrebbe invece preso in considerazione in presenza di stenosi del canale vertebrale associata o meno a deficit neurologici progressivi refrattari al trattamento conservativo. Inoltre, pazienti che presentano sintomi indicativi della sindrome della cauda equina, come disfunzione della vescica intestinale o anestesia della sella, richiedono un intervento chirurgico urgente.

L’obiettivo dell’intervento chirurgico nei pazienti con spondilolistesi è la decompressione del canale vertebrale. La decompressione associata ad artodesi è attualmente la procedura più frequentemente utilizzata per il trattamento chirurgico della spondilolistesi: il posizionamento di mezzi di sintesi sembrerebbe ridurre il rischio di pseudoartrosi ed avere migliori esiti funzionali.

credit: Alessandro Pesaresi ​